Dal calcio professionistico all’assoluto di bodybuilding
Intervistatore di garebodybuilding.it è Matteo Picchi
Ospite dell’episodio: Tommaso Lella
GBB TALK LIVE 17
Tommaso Lella
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Matteo Picchi: Buonasera Tommaso, benvenuto nella nostra live di Gare Bodybuilding. Prima di intraprendere l’attività nel bodybuilding, anche agonistica, ti dilettavi con successo sui campi di calcio. Ti va di raccontarci un po’ i tuoi pregressi in ambito sportivo calcistico? Come è avvenuto il passaggio dal calcio al bodybuilding?
Tommaso Lella: Buonasera a tutti e grazie per l’invito. Il mio percorso è un po’ particolare. Ho iniziato a giocare a calcio quando avevo solo quattro anni, seguendo le orme di mio padre, che era anche lui un ex calciatore. Il calcio è stato il mio unico riferimento sportivo da ragazzino. A quattro anni ho iniziato a giocare, anche se non si poteva ancora ufficialmente. Mi ricordo che mi facevano fare delle comparsate di qualche minuto nella squadretta vicino al mio paese, Pordenone. Mio padre allenava la prima squadra e quindi mi buttavano dentro. Erano altri tempi.
Sono sempre stato uno che, in qualsiasi cosa facesse, non riusciva a prenderla troppo per gioco. Nel momento in cui mi appassiono a qualcosa, divento un po’ ossessionato, passatemi il termine. Sono stato leggermente precoce anche nel calcio: a 16 anni ho esordito in prima squadra in Serie D, la quarta serie, in una squadra qui vicino, la Sacilese. Dagli Allievi sono passato direttamente alla prima squadra. Credo fosse il 2005, anche se ora non ricordo con precisione.
La mia carriera ha iniziato a prendere forma nel Pordenone, una società importante e una piazza sempre molto seguita. Sono ancora oggi il giovane con più gol nella storia del Pordenone: in una stagione ne feci nove, e quel record non è stato ancora battuto. Poi sono partito, sono andato via da Pordenone e ho giocato in parecchie squadre: Chioggia, Trento, Lecco. Ho fatto tanta Lombardia: Lumezzane, Giana Erminio. Insomma, sono arrivato alla base del professionismo, la Serie C, con risultati a volte buoni, a volte meno buoni.
Matteo Picchi: Quindi è stato il tuo lavoro fino ai 30 anni, giusto?
Tommaso Lella: Esatto, è stato il mio lavoro fino ai 30 anni. Nel frattempo mi sono anche laureato, più che altro per trovare un senso alla giornata. Quando giochi a calcio hai molto tempo a disposizione: ti alleni alle 14:30, alle 18:00 hai finito. Io non ero uno che si svegliava al mattino e voleva stare a girarsi i pollici. Credo che da lì sia nata la passione per la palestra: dai 21-22 anni, avendo la mattina libera, mi svegliavo e andavo in palestra. Come tutti, all’inizio ho sbagliato tantissimo, facendo le cose un po’ a caso: petto e bicipiti tutti i giorni, perché quello era il leitmotiv.
Matteo Picchi: Le gambe le allenavi a calcetto, immagino!
Tommaso Lella: Esatto, le gambe le allenavo a calcio. Poi, parlando del bodybuilding come disciplina e sport, lo ritengo il più difficile che esista. Essendo stato un calciatore professionista, quindi avendo già fatto uno sport a livello professionistico, posso garantire che non esiste niente di paragonabile al bodybuilding. Non c’è difficoltà più grande di affrontare quotidianamente dieta e allenamento vero per ogni distretto muscolare. Nel calcio, invece, basta saper trattare la palla, perché c’è uno strumento e un’estrinsecazione tecnica di questo all’interno della partita.
Ho visto atleti imbarazzanti in Serie A. Guardo una partita di Serie A e mi rendo conto subito di chi fisicamente sarebbe impresentabile in quasi qualsiasi altro sport. Se prendiamo i parametri del loro atletismo, i calciatori perdono contro chiunque: giocatori di basket, di tennis, di rugby, di qualsiasi altro sport sono atleti più performanti e si allenano meglio dei calciatori.
Matteo Picchi: Interessante questo confronto tra calcio e bodybuilding. Come sei entrato in contatto con l’agonismo nel bodybuilding?
Tommaso Lella: Lo ricordo come fosse ieri. Era il 2020, mandai un check a Simone Generali, il mio coach, dopo quasi un anno che mi seguiva. Ormai avevo raggiunto un livello fisico che non avrei mai immaginato. Credo fossimo all’inizio di una fase di bulk, forse il primo vero, perché prima di presentarmi da Simone avevo fatto un bulk sbagliando l’inimmaginabile. Mi ero presentato da lui come un sacco di pesce fritto: 92 kg pieno di grasso. Lui mi disse di tornare indietro, di pulirmi, di fare le cose fatte bene e di ripristinare tutta la sensibilità insulinica perché ero completamente “finito”.
Gli mandai un check e mi disse: “Guarda, te lo dico: per come sei fatto a livello scheletrico e muscolare, se mai un giorno vorrai gareggiare, qualche soddisfazione secondo me te la puoi togliere”. Lì, senza sapere neanche quali categorie esistessero nel bodybuilding, gli risposi subito: “Ok, facciamolo”. Dopo un anno e mezzo che avevo smesso di giocare a calcio, mi prurivano un po’ le mani. Stavo cercando qualcosa per tornare a competere e non avevo idea di cosa fare. Sono un grande appassionato di tennis e stavo pensando di dedicarmi a quello, di iniziare a giocare nel circuito di quarta categoria. Dovevo fare qualcosa, insomma. Quando Simone mi ha proposto di gareggiare, ho accettato a scatola chiusa, senza sapere a cosa andavo incontro.
Matteo Picchi: Hai qualche ricordo della tua prima competizione? Come hai scelto la categoria?
Tommaso Lella: Certo, ricordo tutto. La mia prima gara è stata una qualifica NBFI ad Arezzo per i campionati italiani nel maggio 2021. Nella mia totale ignoranza, all’inizio fui io a dire che volevo fare Men’s Physique, perché non avrei mai voluto salire sul palco con un costume stretto, sia per il Classic che per il Bodybuilding. Sono un ragazzo già “vecchio dentro”, amo il vintage e in spiaggia non sono mai andato con gli slip o con quei pantaloncini da bodybuilder, ma sempre con un pantaloncino normale.
Ho scelto il Men’s Physique anche perché le gambe le ho sempre avute forti: non ho blocchi di anca o di caviglia, quindi lo squat mi è sempre venuto facile. Devo dire che odio allenare il petto e amo allenare le gambe, quindi sono già “montato al contrario”. Il petto è il punto in cui sono progredito meno negli anni, mentre le gambe sono il mio punto di forza. Geneticamente, ho sempre avuto delle buone spalle e un buon dorso, quindi la scelta è ricaduta inevitabilmente sul Men’s Physique.
Da quando è partita l’idea di gareggiare, l’ho presa come se fosse l’esercito militare: toglievo i due grammi di basmati dalla bilancia, e lo faccio tuttora. La sfida più grande del bodybuilding quando inizi è sempre il posing. Il pubblico non mi ha mai dato noia, essendoci cresciuto nel calcio. Ho avuto la fortuna di giocare a Siena davanti a 12.000 persone in Serie C, quindi figurati se mi preoccupavo di 5 persone che mi guardavano. Però il posing mi imbarazzava pesantemente, devo ammetterlo.
Matteo Picchi: Poi c’è stato il passaggio alla WABBA. Puoi raccontarci qualcosa di questa federazione?
Tommaso Lella: Certo. Il passaggio dal Men’s Physique al Classic è avvenuto proprio con l’inizio della mia conoscenza del mondo del bodybuilding. È normale che quando sai poco e vedi poco, scegli un po’ la cosa che sembra più facile. Non che il Men’s Physique sia facile, ma le gambe in molte situazioni vengono lasciate indietro, e va bene così.
La WABBA è una federazione storica. Se paragoniamo le federazioni alle serie calcistiche, potremmo dire che l’IFBB è la Serie A, la WABBA è la Serie B. Poi c’è da differenziare ovviamente: oggi l’NBFI è probabilmente la Serie A del mondo natural. Quindi parliamo di mondo enhanced e mondo natural. Nel mondo enhanced, chi va a gareggiare in WABBA o in IFBB ha deciso di “passare dall’altra parte”. Non vedo quale sia il problema di dirlo: se qualcuno pensa di arrivare sul palco in WABBA o in IFBB a 100 kg al 6% di body fat sostenendo di essere drug-free, beh, uno può dire quello che vuole, ma io risponderei: “Non insultare la mia intelligenza”.
La WABBA ha tolto la routine singola due anni fa, quando io ho iniziato a gareggiare. È una cosa che avevo preparato per mesi e che farò domenica prossima in IFBB, dove fortunatamente non l’hanno tolta. Il minuto di routine è una delle cose più belle. La WABBA ha spiegato che l’hanno tolta perché il 95% degli atleti faceva schifo e le gare si allungavano in maniera mostruosa. Posso comprenderlo: quando vai a un evento come il Rimini Wellness dove gareggiano 700 atleti in WABBA, se ti metti a fare un minuto di routine con 650 atleti che posano male e hanno più paura di farsi vedere che di mostrare il loro lavoro, capisco la decisione.
Matteo Picchi: Quali sono i limiti di peso per la tua categoria in WABBA e in IFBB?
Tommaso Lella: In WABBA, il mio limite di peso è 93,2 kg, essendo alto 1,81 metri. L’anno scorso ho vinto a Rimini pesando 91 kg sul palco, quindi avevo ancora 2,2 kg di margine. In WABBA conta molto la condizione: separazione, striature, tiraggio, durezza. Ovviamente, nel Classic la linea conta molto, come giusto che sia.
In IFBB, il limite per la mia altezza è 94,8 kg, quindi 1,6 kg in più rispetto alla WABBA. Ti dico che mi sono pesato questa mattina a stomaco vuoto e sono a 91,2 kg. Devo ancora scaricare questo weekend, quindi puoi immaginare che andrò in IFBB a “stringere la mano” agli altri. Però non mi interessa, credo molto nella mia linea, che secondo me potrebbe essere competitiva anche lì, non per vincere, ma per piazzarmi dignitosamente.
Matteo Picchi: Come gestisci la pressione e lo stress della preparazione, considerando che hai una palestra?
Tommaso Lella: Hai centrato probabilmente la cosa più difficile da gestire quando hai una palestra e sei un atleta. Se dovessi consigliare a un ragazzo di gareggiare, la prima cosa che gli direi è di non aprire mai una palestra. La gente non solo non ha coscienza, ma non gli interessa del fatto che tu stia gareggiando. Figurati a maggio, quando sta arrivando l’estate e ti arriva il classico cliente che non si è mai allenato in vita sua e deve “buttare giù la pancetta” perché crede che iscrivendosi il 12 maggio, al 22 giugno che va in ferie con la morosa sarà “tirato”.
Circa un mese e mezzo fa, ho attraversato un periodo abbastanza tosto dove avevo anche poca pazienza. Chiudevo la palestra alle 22 e mi allenavo, perché non riuscivo a fare tutto l’allenamento senza che arrivasse il cliente nuovo a iscriversi, a chiedere informazioni, o quattro clienti che ti chiedono le cose più disparate. Un disastro. Allora ho deciso che, dato che è il mio lavoro e la gente paga, alle 22 chiudo la palestra e mi alleno, perché altrimenti non ne sarei uscito. Le gambe, che sono sacre, le alleno la domenica a palestra chiusa.
Non è facile, perché le richieste sono tante ed è il tuo lavoro. Oggi ho fatto 5 ore di personal training. Alla gente che hai la gara la prossima settimana non interessa, ti dicono “Ho pagato, faccio il personal”. Come giusto che sia. Sotto quel punto di vista, la gestisco abbastanza bene perché so che il lavoro è lavoro. Faccio il mio personal, metto da parte le mie priorità, tanto so che se hai la testa giusta, ti alleni anche alle 22 con 150 grammi di carboidrati in corpo dalla mattina e spingi per quello che puoi.
Matteo Picchi: Se dovessi identificare un atleta che ti ha ispirato nel tuo percorso, chi sceglieresti?
Tommaso Lella: Assolutamente Chris Bumstead. So che può sembrare banale, ma non sono uno che osserva male. Ho visto tutti i suoi video degli allenamenti, sia quelli pre-Olympia che quando fa podcast e parla di business. È un ragazzo che ha quella “polverina di Trilly”, è speciale. Parte tutto anche proprio dal suo aspetto, che è quello che un po’ si va a ricercare: wow, sì, forte, però non è quello che dici “Sì, è bello, ma gli è stato dato troppo”. Alla fine, se vai a vedere cosa stacca, cosa squatta, cosa spanca, martella forte l’uomo.
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Matteo Picchi: Cosa ti ha insegnato finora il bodybuilding?
Tommaso Lella: Per me è stato un anestetico esistenziale. Ho smesso di giocare a calcio probabilmente con un pelino di depressione, non sapevo più chi ero. Quando fai una cosa per tanto tempo, ti annebbia un po’, e poi io sono uno molto autocritico e non mi è piaciuto come ho smesso e dove ero arrivato. Il bodybuilding è stato anestetizzante per tanti pensieri negativi.
Questa è la cosa più bella che mi ha regalato: essere anestetizzato. Quelle due ore, due ore e mezza di allenamento… Ricordo quando, durante il Covid, facevo gli affondi con le bottiglie d’acqua in giardino, le trazioni, e mi sentivo un po’ un fallito. Ma l’allenamento ti tiene dritto, ti tiene in piedi. Quando l’hai finito sei estremamente soddisfatto.
In quel periodo dopo il calcio, feci un corso da massaggiatore perché dovevo sbarcare il lunario e diventai massaggiatore termale. Vivevo a Moena, in Trentino, in mezzo ai monti con il cane. Mi svegliavo la mattina, andavo a fare 10 km con il cane in queste strade bellissime di montagna e facevo 500 flessioni nel tragitto. C’era un posto per fare le trazioni. Poi andavo a lavorare e successivamente in palestra. Questa era la mia giornata: andavo a letto alle 21 e mi svegliavo alle 5 del mattino.
Non avrei mai immaginato di essere qui stasera a parlare con voi, di aver fatto le gare che ho fatto. È strano. Però l’unica cosa è che, nonostante tutto, non mi sono mai fermato.
Matteo Picchi: Un brano musicale particolare che senti in allenamento, nel backstage o sul palco?
Tommaso Lella: “Young and Beautiful” di Lana Del Rey, dalla colonna sonora di “The Great Gatsby” con DiCaprio. È un film molto nostalgico, un po’ come sono io, con momenti super esaltanti e momenti di introspezione molto tristi. Questa è la canzone con cui farò la routine singola la settimana prossima.
Matteo Picchi: Grazie mille Tommaso per averci raccontato la tua esperienza. Ti facciamo un grande in bocca al lupo per il tuo percorso agonistico ormai alle porte.
Tommaso Lella: Grazie a voi, mi avete fatto ripercorrere mentalmente tutta la mia vita. Sono anche un po’ emozionato. Quando lavori dietro a una figura, sei tu che chiedi agli altri come stanno. È difficile che qualcuno ti chieda come stai. Quindi una volta ogni tanto fa bene parlare di sé.
Il bodybuilding per me è sempre stato facile, nel senso che non è mai stato un peso. È stato un grandissimo valore aggiunto. Il calcio, invece, mi ha mandato ai matti, è stato un fardello pesantissimo, soprattutto per come è finita. Forse perché ero partito con aspettative molto alte. Il bodybuilding è un sogno arrivato in silenzio, da sotto. Chi se lo immaginava? Forse per questo me lo godo così tanto.
La gara dura poco, ormai sei lì e dici: “Guardatemi, ho fatto questo lavoro”. Bisogna viverla bene. Se sei sul palco per gareggiare, deve piacerti, deve divertirti, altrimenti diventa uno stress inutile. Se vai lì per soffrire, meglio stare a casa.
Se lo fai è perché lo ami, perché ti piace. Io ho 36 anni, vivo da solo, ho la palestra, ho giocato a calcio, guadagno abbastanza per comprare il riso e il pollo necessari per fare questo sport. Se dovessi stressarmi, troverei altro da fare il sabato sera.
Sul palco si va per vincere. Se la tua mentalità è “Vabbè, tanto vado là e arriverò ultimo”, allora è meglio restare direttamente a casa. Non c’è neanche bisogno di andarci per forza. È chiaro che c’è differenza tra essere matti e avere un approccio del tipo “Tanto vado là e arrivo ultimo”. Sono il primo a dire che in IFBB ho ancora strada da fare, ma sono convinto che la mia linea possa sposarsi bene anche in Pro League. Mi mancheranno i volumi, mi mancherà questo e quello, ok, però una figuraccia non la faccio, altrimenti non ci andrei e con questo concludo. A presto!
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